Vi ricordate il polpo Paul che durante i
Mondiali di calcio del 2010 aveva indovinato l'esito di tutte le sette partite
della nazionale tedesca e il risultato della finale Spagna-Olanda? A questo polpo pescato, si dice, da Yuri
Tiberto nel mare elbano, il giornalista e scrittore Luciano Minerva si è ispirato per il suo romanzo intitolato Una vita non basta. Memorie da una metamorfosi , Robin, 2013.
Brano tratto da Una vita non basta. Memorie da una
metamorfosi” , Robin, 2013 di Luciano Minerva
Ho sempre amato i
luoghi dove la terra e il mare comunicano tra loro: le spiagge e le scogliere.
Fiorella preferiva la varietà alle abitudini e voleva che Lorenzo coltivasse
quell’incredibile capacità che hanno i bimbi fino a due o tre anni di scoprire
sempre qualcosa di nuovo. Così ogni giorno, quando ancora non sapevo né camminare né parlare, mi portava su una
spiaggia diversa. Il rito che mi insegnava, invece, era sempre lo stesso, è tra
le prime sequenze della mia memoria umana: si sedeva con me sulla riva, mi
teneva in braccio per qualche minuto e mi bagnava, con le sue mani morbide e
leggere, la testa, il petto, le braccia, le gambe. Poi mi metteva a sedere
accanto a sé, prendeva un piccolo sasso o una manciata di sabbia, li guardava
con attenzione, se li passava da una mano all’altra e li posava sulle mie,
perché ne scoprissi la consistenza, la temperatura, il colore, il peso, la
forma. So da sempre che non esistono due spiagge uguali: per il colore della
sabbia e dell’acqua, la forma e la grandezza dei sassi o degli scogli,
l’orientamento, i tagli di luce, il panorama, i suoni. Le spiagge sono come le
persone, puoi trovare qualche somiglianza tra l’una e l’altra, ma più le
osservi, più noti le particolarità, le originalità, le differenze. E come i
corpi umani e animali, come gli sguardi e i tratti del viso delle persone, le
spiagge si modificano giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Nella mia gabbia di
vetro passo il tempo a osservare e a meravigliarmi delle piccolissime
variazioni della realtà e ho conservato il piacere di classificarle e
memorizzarle. Le alghe di plastica che arredano la mia prigione non riproducono
certo tutte le forme di quelle del mare, ma l’acqua che entra nella vasca non
le lascia mai nella stessa forma e loro non fanno un solo gesto uguale
all’altro. Sulla parete di fronte alla mia tana ci sono quattro gradini di una
piccola scala di ferro, come quelle delle navi. Si è formata della ruggine.
Grazie a questa vedo decine, forse centinaia, di piccolissimi disegni, uno
diverso dall’altro, che si sono create su gradini e montanti. Così posso
osservare ogni giorno un panorama sempre diverso.
Il Lorenzo che ero,
crescendo, aveva conservato l’abitudine presa da bambino a queste varietà e
diversità: non si tuffava mai due volte di fila dalla stessa spiaggia o dagli
stessi scogli, sceglieva, ogni giorno, le sfumature più adatte al suo stato
d’animo e al suo umore, esposti alle variazioni più sottili. Quando ritornava
su una spiaggia, cercava subito le novità, che non mancavano mai. Sapeva
riconoscere a occhi chiusi il carattere di tutte le spiagge dell’isola, anche
se sono centocinquanta. Nella mia camera tre scaffali della libreria erano
occupati da sassi e barattolini con campioni di sabbia: tutti avevano il loro
bel cartellino con il nome della spiaggia di provenienza. Erano ordinati per
scala di colori, dal bianco dell’Enfola al nero dell’ematite dei Topinetti;
c’erano i ciottoli tra il verde e l’azzurro della serpentinite, raccolti vicino
a San Piero, e perché non mi mancasse il rosa dell’elbaite, avevo usato un
piccolo scalpello per prenderne un frammento dalle scogliere di Sant’Andrea, ma
questo non l’avevo mai detto a nessuno.
( pp.
64-66)
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