Caro Sergio,
absit iniuria verbis: inizio con questa locuzione, a
te cara, per mettere le mani avanti nel caso dicessi stupidaggini.
Non ho competenze critico-letterarie ma qualcosa voglio dire
sul tuo “Uliano”.
1)
Mi è piaciuto prima di tutto perché mi ha fatto
divertire. Non c'è che dire: una bella lettura rilassante.
2)
Ci ho trovato dentro la passione e gli interessi
del Sergio che conosciamo.
3)
Per me elbano d'adozione (sull'isola da oltre un
quarto di secolo), è stata una immersione nella cultura elbana, scoprendo
abitudini e modi di dire nella vita di paese nel decennio successivo alla
seconda guerra mondiale.
4)
Ho trovato molto belli alcuni elementi: la
tenerezza di Uliano (con la progressiva scoperta del mondo in uno stato di
innocenza un po' pasoliniana), le speranze di un padre, la tenacia della donna
(Virginia con il suo “piano piano tutto si aggiusta”), la testimonianza
cristiana di don Silvio (con descrizione-ricordo che sfiora le corde della
nostalgia per il 'divino autenticamente umano').
5)
I personaggi che, grazie alle descrizioni molto
concrete (scevre da considerazioni e valutazioni filosofiche o morali del
narratore), si riescono a vedere e quasi toccare. Una varietà e ricchezza
(anche nelle stranezze – ma forse ognuno di noi, a suo modo, è strano agli
occhi altrui) che ricorda De André e Spoon River. Tutto frutto delle tue note
capacità di osservazione, memoria e affabulazione
6)
La lotta di classe (o, più politicamente
corretto, il conflitto sociale) emerge da un intreccio di componenti: politica,
sesso, cibo, lavoro, uso del tempo libero, personalismi... Una sorta di
ampliamento del celebre conflitto fra peppone e don camillo.
Sergio, sono queste alcune delle cose che mi sono sentito di
dirti.
Desidero, però, concludere con un'annotazione che, in questo
momento storico, ritengo particolarmente importante e credo che emerga dalle
pagine del tuo libro. Mi riferisco alla centralità delle relazioni umane, alla
convivialità, all'abitudine di condividere con altri (seppur nei limiti della
dignità, del decoro e del pudore) le gioie e i dolori, in una sincerità a volte
sconcertante. Insomma, c'è un'umanità (spesso ferita ma, quasi sempre, ricca di
speranza e, perciò, di capacità di ripresa) che fuoriesce prepotentemente da
queste relazioni interpersonali prossime.
Penso che, nel nostro tempo (del digitale e del virtuale,
dell'incertezza e della paura indotta, dell'illusione dell'individualismo e
dell'identità di consumatori), questo sia un elemento che deve farci riflettere
e portarci alla scoperta o ri-scoperta del valore delle persone e delle
relazioni umane.
Grazie.
Nunzio Marotti
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