Per Francesco
Varanini: Scrivere poesie è un modo per intrattenere rapporti con se
stessi. Un modo per immaginare, sognare, non dimenticare. Ed anche un modo per
prendere appunti rapidi durante le riunioni di lavoro. Per fissare atmosfere e
situazioni emotive. Ancora, e infine, scrivere poesie è un modo per dire quello
che non può altrimenti essere detto.La poesia nasce da un profondo bisogno
personale. Nasce per restare forse per sempre inedita, e nota solo all’autore.
Non per questo è inutile. Non per questo deve restare nascosta. La scrittura
poetica può essere applicata a qualsiasi oggetto, dal tema più privato e
personale, legato ad emozioni e affetti, all’argomento ‘di lavoro’.
Quando lessi
T’adoriam Budget divino (Sperling & Kupfer –
1994), il primo libro di poesie di Francesco Varanini, mi sorprese la naturalezza e
lo stile con cui l’autore aveva trasferito in poesia una parte della sua vita
professionale. Come si legge nel risvolto di copertina, si tratta, infatti, di
“una satira della vita aziendale che ricorda per qualche verso le riflessioni amare
del Villaggio-Fantozzi, e per altri le pagine autobiografiche dell’ingegner De
Crescenzo. Ed è però anche un consapevole saggio di analisi organizzativa,
rigoroso nell’approccio e nei riferimenti ai sacri testi. Pagine dunque che in
vertiginosa sintesi rimescolano con leggerezza Elliott Jacques, Peter Drucker,
Varella & Maturana, Ludwing von Bertalanfyy – ma anche Tolstoj e Bill
Gates, Ludwig Wittgenstein e Luciano Lama”.Organizzazione aziendale, psicologia
del lavoro, letteratura e informatica con il loro linguaggio specifico
s’intrecciano creando versi ora malinconici, spesso ironici.Neppure
lontanamente sono un manager e non lavoro in una grande azienda come quella che
traspare da queste pagine, però leggendo alcune poesie ho rivisto, e rivisitato
in chiave ironica e poetica, situazioni che si vivono anche in piccoli enti
pubblici come quello in cui presto servizio.
Con l’autunno,
le riunioni del budget.
Cifrate ombre del domani
i miei progetti schedulati
in gelide gabbie digitali
in celle di Lotus.
T’adoriam budget divino
Tu che i nostri passi incerti
con severo tabulato guidi
Tu che i nostri insani progetti
in ferrea commessa ingabbi
Tu che i nostri esuberanti organici
con occamistico rasoio tagli
Tu che i nostri immobilizzi assurdi
con somma giustizia censuri
Tu che i nostri centri di costo
colpevolizzi con presunti consuntivi,
Deh, fa che non ci abbandoni il Controller
e da noi allontana
l’Extrabudget diabolico.
La Grande Spesa Extrabudget
No, non andrò io a chiederne
l’approvazione,
non compierò il gesto riprovevole
di presentarla alla firma
dell’Amministratore Delegato.
O. D.
“Organizzar bisogna
ma è una vera fogna
un sistema troppo regolato.”
Lo disse e fu messo alla gogna
un Capoprogetto avventato.
Autopoiesi
Io macchina tra macchine
sopravviverò
alla faccia tua
e del mondo.
Solo in me mi specchio
ed il mio mondo
finirà con me.
Coffee Break
L’ordine del giorno recitava
“Linee generali
della ristrutturazione”.
La crisi incombeva
tutto doveva cambiare.
Ma ci tranquillizzò
-niente era cambiato –
il coffee ( di sempre) break.
Timbrando presenza (I)
Pulsano i led ignari
attimi di ritardo
mentre sfila
nella fessura il cartellino.
Eppure risponde all’appello
forse anche oggi
la mia persona aziendale.
Timbrando presenza (II)
Scorre affannato
il badge nella fessura,
il led vigile occhieggia
incorruttibile
sommando alle mie colpe imperdonabili
l’ennesimo, inevitabile ritardo.
Epson
Dolcemente scivoliamo
verso le cinque
cullati dal ronzio delle stampanti.
E’ sabato, domani.
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