Elba isola di poeti e narratori

Elba isola di poeti e narratori è un'antologia, ma non un' antologia critica perché non sono una critica, né desidero esserlo. E' il percorso di una lettrice che ha con la parola scritta un rapporto emotivo, empatico, emozionale e non intellettuale, che tenterà di dare uno sguardo sugli scrittori elbani e sull’Elba nella letteratura.

venerdì 19 aprile 2013

"Leggerino" di Ivo Bandi




"LEGGERINO"
di Ivo Bandi

Mi ricordo di una figura, per me bambino, leggendaria, che più tardi avrei ritrovato nella tipologia umana descritta da Neri Tanfucio nel "Matto delle giuncaie". La gente del posto lo chiamava "Leggerino", per la sua incredibile magrezza. Il suo mestiere era pescatore di polpi, l'unica persona a mia conoscenza che traesse esclusivo sostentamento da questa attività.
"Leggerino" amava il colore celeste: celeste era la sua barca, un piccolo gozzo stagionato dal tempo, celeste la vecchia camicia, azzurro scuro la tela dei pantaloni che si ricordavano molte primavere, celeste la bicocca che abitava. Chissà, forse voleva immedesimarsi, mimetizzarsi nell'ambiente a lui più naturale, al colore di quell'elemento, il mare, su cui passava la sua esistenza, e di quell'altro elemento, il cielo, che ne faceva da sfondo.

 Era, come tutti gli uomini di mare, di poche parole. Poteva definirsi timidezza, ma era piuttosto desuetudine ai rapporti interpersonali, che non fossero quelli indispensabili legati alla vendita dei polpi, che soleva offrire - in una borsa infilata al manubrio della bicicletta - alle famiglie del contado.
Per noi giovani pescatori amatoriali "Leggerino" era un mito, oltre che un temibile concorrente. Il fatto di vederlo nei paraggi significava dover cambiare zona, non potendo ragionevolmente competere con un simile professionista. Conosceva come le sue tasche il fondo del mare, che scrutava con vista da gabbiano mentre remava in piedi lentamente.
Aveva un profilo donchisciottesco: il volto affilato e incavato, bruciato dal sole come tutti i vecchi pescatori; gli occhi azzurri e penetranti sotto le folte sopracciglia; i capelli bianchi, lunghi ed arruffati dal vento, che non conoscevano riparo; le vesti che gli danzavano addosso.
Mancava solo Sancho Panza, mentre il cavallo era certamente la sua barca. E, come Don Chisciotte, portava con sé una sorta di tristezza interiore. Forse percepiva di essere l'ultimo moicano, lui che conosceva così bene il suo mestiere, destinato ad essere soppiantato da altri metodi di pesca, devastanti e distruttivi; che assieme all'inquinamento e al rumore delle eliche avrebbero spazzato via, non molti anni dopo, ogni traccia di polpi da quelle stesse acque che da che mondo è mondo li avevano ospitati.
 Non so da quanto tempo è morto "Leggerino" ma ho, a distanza di tanti anni, ancora vivo in mente il suo profilo che si stagliava in beata solitudine nella sua barchetta all'orizzonte sul mare.

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