Dylan Thomas a Rio Marina di
Massimo Trombi
in La
Piaggia, Inverno '99, pp 30-31
Quando Dylan Thomas sbarca a Rio Marina, il 20
luglio 1947, con la famiglia, nipote e cognata, è già un poeta molto
apprezzato, l'incarnazione vivente di un mito per i giovani di una generazione.
Anticonformista, perennemente senza un penny, è
dotato di una straordinaria e impetuosa vitalità espressiva le cui radici
affondano nella tradizione celtica del Galles, e di Swansea, sua città natale.
Una città di mare, quindi, che "striscia e si
stende lungo l'arco di una grande e splendida spiaggia, dove i ragazzi
perdigiorno e ragazzi di Sandfield e vecchi di chissà dove cercavano fra la
sabbia, bighellonavano, sguazzavano, guardavano le navi che rientravano o le
navi che se ne andavano verso il mistero e l'India, la magia e la Cina".
Una città di provincia con le sue miniere di carbone, col porto e le attività
ad esso connesse, teatro di un'infanzia intrisa di giochi calati nello scenario
naturale, or costruendo piste sulla sabbia, castelli e fortini, or vagheggiando
imprese su cui egli fantasticava insieme ai suoi coetanei nel rifugio segreto
immerso nel sottobosco. Rio Marina rappresenta la tappa conclusiva del suo
soggiorno italiano.
Compromesso duramente nella salute dall'abuso di
alcool, grazie ad un Travelling Scholarship Fund della Società degli Autori
ottenuto per interessamento di Edith Sitwell, egli può finalmente partire per
una lunga vacanza in Italia con l'intento di recuperare forze e ispirazione.
Dopo aver visitato alcune città d'arte egli approda a Firenze e, dietro
consiglio di J.L. Sweeney, telefona a Luigi Berti affinché pubblichi la
traduzione italiana di alcune sue poesie su "Inventario", rivista
fondata dal riese che vantava una redazione americana diretta dall'amico Renato
Poggioli.
Attraverso il Berti il poeta gallese entra in
contatto con alcuni autorevoli rappresentanti della cultura fiorentina, tra cui Mario Luzi, Eugenio Montale, Alessandro
Parronchi, Piero Bigongiari, Ottone Rosai e altri. Lo invitano a cena ma lui
sprofonda nella poltrona completamente ubriaco. Racconta il Luzi:"Del
resto egli sentiva e ricambiava come poteva la simpatia e la naturalezza che lo
circondavano e lo si vide quando in casa di Alessandro Parrochi, nell'allegria
festosa della brigata, si sciolse d'un tratto e si animò: dette allora una
lettura di Milton e di Shakespeare d'una melodia insieme fine, ampia, profonda,
straordinariamente vigorosa, che lasciò a tutti un'impressione forte come d'una
scoperta nuova di quegli antichi testi e del loro lettore".
Mentre la moglie e la cognata si divertono a fare
le turiste per le vie di Firenze, Dylan staziona alle "Giubbe Rosse"
vuotando l'un dopo l'altro bicchieri di birra. Nel frattempo prende domicilio a
Villa del Beccaro, a Mosciano,sopra le colline di Scandicci. Scrive ai
genitori:"Le domeniche una famiglia di Firenze viene a passare la giornata
da noi con due ragazzetti, il padre (Luigi Berti n.d.r.) dirige una rivista
trimestrale, e ha tradotto un gran numero delle mie poesie. Ma l'ostacolo della
lingua impedisce a Llewelyn e ai suoi ragazzi di trovarsi realmente bene
insieme".
E' in quegli incontri che Dylan e Luigi
fraternizzano, che matura l'intenzione di trascorrere l'ultimo periodo di
vacanza all'Isola d'Elba. In una lettera all'amico T.W. Earp dell' 11 luglio
egli scrive: "Ho chiesto al professore notizie sull'Isola d'Elba, ove
pensavamo di andare, e ha detto - era il primo commento che gli sentivo fare-
"Plenty di fish-dog" ("Piena di pescicani" n.d.r.). Traduce
Henry James e Virginia Woolf. Il clima infernale della campagna toscana sfianca
il nostro poeta e la prospettiva di partire per Rio Marina gli dà grande
sollievo.
La prima cartolina che Dylan Thomas spedisce il 26
luglio 1947 a Bill e Helen McAlpine da Rio Marina reca il seguente testo:
"Un messaggio dall'Albergo Elba, RIO MARINA, ISOLA D'ELBA, ITALIA.
Fortunato Napoleone! Questa è un'isola bellissima; e Rio Marina il più strano
villaggio che vi esista: vi abitano soltanto pescatori e minatori: pochi turisti:
nessuno dei quali straniero. Severo all'estremo. Qualcosa di simile a una
Caherciveen latina. Avvisi "Proibite le risse" in tutti bar. Cognac
dell'Elba 3 penny. Naturalmente nessun orario. Bagni meravigliosi...".
L'albergo di cui si fa menzione è quello di Giovanni Chiesa, all'epoca con le
stanze da bagno appena ristrutturate ma mancanti dell'allacciamento dell'acqua.
In "Double drink story", autobiografia di Caitlin Thomas, ella
ricorda questo particolare, la gentilezza dei gestori e la buona cucina casalinga.
Rammenta altresì le viuzze che bisognava percorrere per accedere al mare e le
schiene scorticate dei suoi cari sotto il sole sferzante di quel luglio
eccezionale.
Augusto Livi fornisce questa testimonianza:
"Così, quest'anno, nel villaggio di case erte e di scale di pietra, anche
i cani piccoli e rossicci si fermavano agli angoli delle salite quando passava
il poeta Dylan Thomas con la sua testa di Bacco e i suoi panni a due tinte,
verdi i calzoni e rosa la camicia." E ancora:"...l’aria bassa e
l'aria alta, quella del porto e quella delle miniere, dove Dylan Thomas,
passando sulle creste con un berretto bianco e la camicia lunga fuori dai
pantaloni sembrava un arcivescovo". Un personaggio siffatto non poteva
certo passare inosservato a Rio Marina. Nonostante l'ostacolo della lingua egli
riusciva a comunicare con tutti e le solenni sbronze suscitavano nei suoi
confronti un clima di simpatia e ilarità.
Elvio Chiesa in più di un'occasione mi ha
raccontato di averlo riportato in albergo ubriaco.
Solo il privilegio dell'età può far ricordare la
Rio Marina del dopoguerra, le strade, le case, la storia di una comunità che è
andata via crescendo; e con essa gli odori, i visi e la forza d'innumerevoli
braccia sacrificate alla miniera. I più giovani possono avvalersi di vecchie
fotografie che testimoniano di grossi cumuli di minerale pronti per essere
faticosamente caricati sui bastimenti da operai con le schiene bruciate dal
sole. Nella lettera a Margaret Taylor del 3 agosto egli si lamenta per il
troppo caldo e scrive: "...Anziani e riarsi minatori, cinquant'anni nel
fuoco, ringhiano contro il caldo mentre trascinano nudi, sui moli scheletrici,
gli arrugginiti vagoncini". E ancora: ".... amo quest'isola e vorrei
non vederla in una delle stagioni infernali."
E' in quei giorni che Dylan Thomas attende a
"In Country Sleep", la più bella poesia che egli abbia mai scritto.
Ed ha ragione Luigi Berti - nella commemorazione che fa dell'amico scomparso
apparsa sul "Corriere Elbano" del 7 gennaio 1954 - a dire che il
poeta gallese "avesse stabilito rapporti d'amicizia e di simpatia con gli
abitanti dell'intero paese di Rio Marina - ove aveva trovato gente che in
quanto a bere vino gli dava dei punti - ma forse tutto avveniva perché
nell'ambiente delle miniere e dei minatori Dylan molto ritrovava del suo Galles (la gente antica e
rude, ma sincera; i paesaggi selvatici e aspri, le vie strette e a scala, il
via- vai degli asini e delle capre), tutta l'atmosfera di un paese massiccio
che a momenti appare come un vero pianeta a sé stante, sconvolto come sempre
dalle cave e dalle mine, dalle nuove escavazioni e dalle nuove strade che
queste comportano. A Rio, infatti, Dylan già lavorava a quel radiodramma sulla
vita dei minatori del Galles...ma in certi caratteri par di ravvisare Pierino,
anarchico e l'uomo più forte dell'Elba che quando diceva basta era basta in
terra e in mare; il Chiros, con la maglia da cambusiere greco che portava in
quell'agosto del 1947, dietro il banco del suo caffè".
Dylan era e si proclamava socialista. Di un
socialismo inteso nell'accezione tolstojana, una sorta di cristianesimo
primitivo, dove l'attenzione si rivolge agli umili, ai minatori delle miniere
di ferro, ai pescatori, ai contadini. E' ad essi che egli guarda, quasi per un
bisogno insopprimibile di esprimersi e quindi di prendere posizione, guidato da
un'alta concezione del valore della dignità umana. Al suo arrivo a New York nel
1950 le autorità statunitensi, al corrente delle sue propensioni politiche, gli
crearono da subito difficoltà perché egli aveva firmato la petizione di pace di
Stoccolma ed era stato a Praga per un congresso letterario. Pur tuttavia la
fama del" fine dicitore" prevalse e venne acclamato e conteso ovunque,
finché cadde in coma dopo aver trangugiato diciotto whisky. Morì il 9 novembre
1953, a soli trentanove anni, senza aver più ripreso conoscenza.
Certo la poesia di Dylan Thomas non è semplice.
Abbisogna di una chiave di lettura e il senso prende forma
dopo aver percorso sentieri tortuosi, labirintici.
Poggia su una creaturalità metamorfica che dà origine a immagini che
continuamente si contraddicono, immagini cozzanti a cui applica, nel rispetto
dei limiti formali che si è imposto, il minino di controllo critico, con
l'effetto di produrre una "deflagrazione semantica" che libera e
rivela - e in ciò risiede il suo più alto significato - la percezione di un
sentimento.
Ed è il sentimento - il puro sentimento - ciò che
avevano colto quella ventina di persone (marinari, pescatori,cavatori, donne e
bambini) riunite sotto una pergola la sera del 7 agosto '47 per onorare il
poeta. Senza nozioni d'inglese e di metrica. Lasciandosi trasportare unicamente
dalla voce modulata di Dylan che prende mille sfumature, seguendone il ritmo,
cogliendone il timbro, le profondità, lasciando affiorare calde incontenibili
lacrime che 'luccicano" scrive il Berti " come le squame
dell'oligisto nella cava". E' questa la magia della poesia! Dylan la
scolpiva lentamente, sottoponendo i versi a inusitate pressioni, restituendone
la natura magmatica e minerale, orchestrando sapientemente metafore, dove le
associazioni mentali si trasformano in onde elettriche cariche di tensione
visionaria, 'concentrate sul rapporto "vita-morte", sul simbolismo
biblico che caratterizza molte sue liriche, dove la parola acquista una propria
gravità, necessità, verità.
Non deve
sorprendere la commozione degli astanti, perché quella sera essi hanno
assistito ad una visione, una dolce musica, una preghiera: ed hanno compreso!
Dylan Thomas ha amato molto Rio Marina. Non solo
per il buon vino che egli beveva nei bar, quanto perché gli restituiva
un'atmosfera più congeniale, familiare. Ecco perché a Firenze in fondo si
annoiava. Gli interessava solo d'incontrare qualcuno con cui fosse possibile
bere un bicchiere, stare in mezzo a gente autentica che non fosse
necessariamente intellettuale, lontano dai formalismi e dalle frasi di
circostanza. Aveva bisogno d'intimità e a Rio l'ha trovata. Coi suoi spazi e il
suo mare, la sua natura e i suoi silenzi. Anche qui come a Swansea i bambini
giocavano sulla spiaggia a chi tirava sassi più lontano magari oltre il
pontile, anche qui qualche volta suonava la banda. Ma quel che più conta è che
in questo paese di minatori egli ha trascorso momenti felici. E a noi piace
ritrarlo così, lui che non sapeva nuotare, intento a leggere nell'acqua tra due
scogli - fosse a Cala Seregola od Ortano poco importa - col mozzicone di
sigaretta che gli pendeva dalle labbra e i gabbiani che gli svolazzavano sopra.
Rio Marina ha ospitato uno dei più grandi poeti
della letteratura inglese e molti ignorano l'importanza di questo avvenimento.
Sarebbe opportuno che il Comune gli dedicasse almeno una targa che attestasse
il suo soggiorno nel nostro amato paese: una presenza così significativa non
deve venire trascurata. E' una questione di cultura che arricchisce di nuove
pagine la nostra storia, una perla opaca recuperata nella memoria a cui bisogna
restituire, con un gesto d'affetto, l'antico candido splendore.
Massimo
Trombi
Ciao
RispondiEliminaSapete dove posso trovare un phorograph della Villa del Beccaro a Mosciano, dove Dylan Thomas e la sua famiglia ha soggiornato nel 1947? Mia moglie ed io abbiamo visitato la scorsa settimana, ma non so se abbiamo trovato il posto giusto.
Molte grazie per tutto l'aiuto.
David