foto di Dante Leonardi
RIO MARINA : il mio borgo di Luigi Berti
Io amo i monti ferrigni della
mia terra. È una cattiva abitudine di quando fanciullo vi andavo a far le
sassate e, per mulattiere e sentieri, in cerca di nidi e lucertole.
È una debolezza ch'è rimasta
nella mia giovinezza adusta come un'acqua liscia che fa pensare alla dolcezza
di un bagno.
È una leggerezza che mi vi
spinge talvolta ad ascoltare il silenzio e la quiete larga delle cose e
dell'ora.
Ma, caro signore, nulla è più dolce di quei
miei ritorni. Di là passano incessanti i ricordi di tempi lontani
nell'immaginazione e nell'ansia. Ivi le cose esalano adagio la loro anima
antica con la taciturna tristizia dei morenti. Hanno le mani stellate di
piccole ferite, le cose, ma in quell'aria quasi spirituale, tra quelle rocce
iridanti gocce d'umori nascoste a piante disseminate per muriccioli rupestri,
ritrovo la mia adolescenza perduta e mi metto a germinar fragranze in quella
luce purificata e distillata dai successivi trapassi.
L'anima è il corpo ne godono, Signore.
Parto di buon mattino, salgo
alle cime col respiro saltante, venero le scaturigini montanine, le acque fresche
di polla, mi smarrisco per i campi di felci verso il pennacchio di fumo che una
carbonaia eleva nella macchia e salgo e salgo all'ignoto godendo con orgoglio
della stanchezza del corpo, col presentimento di un praterello verde succhiante
la rugiada come una pappa mattutina, così ben curato che fa pena a guastarlo o
qualche gruppo folto di lecci che fanno come un tempio di freschezza odorata di
fogliame e di terra uliginosa e che compaiono in cima ad un colle, divinamente.